Intervista ad Alessio Sestu

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    Sestu: «Io, raccattapalle di Sinisa»

    Nel basket si gioca in cinque e avere un buon “sesto uomo”, primo cambio in panchina, può fare la differenza. Alessio fa Sestu di cognome e per cominciare si accomoderà in panchina ma aspetta solo la sua chance per dimostrare di valere la Sampdoria. Sardo d’origine, romano di nascita, laziale di formazione (come Mihajlovic, guarda un po’ che coincidenza, ndr), è arrivato in una “grande” un po’ tardi, a 30 anni, ma se chiedi di lui tra gli addetti ai lavori ti dicono che nella sua carriera (Treviso, Cittadella, Reggina, Salernitana, Avellino, Vicenza, Bari, Siena, Chievo: 263 presenze e 20 gol) ha raccolto meno di quelli che poteva. Lo sa bene il ds doriano Carlo Osti che gli ha fatto il primo contratto anni fa al Treviso e ora l’ha ripreso: «Ragazzo equilibrato, di talento, gran professionista, molto serio - dice Osti - sono sicuro che farà bene. Diamogli tempo».

    Allora Sestu, prime sensazioni?

    «Sto vivendo un sogno, negli ultimi giorni del mercato è venuta fuori la possibilità della Samp e da quel momento non ho avuto altro in testa. È il massimo come società, come piazza, come tifosi».

    Al derby è entrato nel finale ma ha sbagliato il 2-0.

    «Non riesco a togliermelo dalla testa: ho tagliato bene ma per l’ansia di non tirare troppo forte ho fatto cilecca. Sarebbe stato il massimo un gol sùbito. Per fortuna abbiamo vinto».

    Al Chievo come si trovava?

    «Bene, ma è tutto un altro ambiente rispetto a Genova: più tranquillo, più familiare. Non c’è paragone, qui si respira il grande calcio».

    Mihajlovic l’ha già fatta esordire, una prova di fiducia.

    «Mi ha fatto piacere, sono l’ultimo arrivato e devo cercare di meritare i miei spazi. Darò tutto per riuscirci, fisicamente e di testa sono pronto».

    Il mister lo conosceva?

    «Lo conosco bene perché ho un piccolo segreto che non gli ho ancora svelato: io ero un giovane della Lazio e facevo tutte le domeniche il raccattapalle all’Olimpico. Lui era un mito in quella Lazio, per me passargli i palloni che uscivano era già un onore, figuratevi ora che mi allena».

    Il resto dell’intervista si può leggere sul Secolo XIX in edicola oggi
     
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