Alberto Mariani (1977-1979)

difensore centrale

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    AMARCORD - Alberto Mariani: "I miei anni alla Sampdoria"

    Alberto Mariani è nato in provincia di Ferrara, precisamente a Tresigallo, patria di Fontanesi, giocatore della Spal che esordì in Nazionale.

    E' nato il 18 agosto 1957, stesso giorno di Rivera e Rosato.

    Nel lontano 1966, aveva 10 anni, inizia la sua carriera alla Sampdoria, dove esordisce in prima squadra nel 1977, e dove disputerà due campionati di Serie B, nelle stagioni 77/78 e 78/79, con 22 presenze complessive.

    “Sono stato uno dei pochi fortunati a coronare il sogno – racconta- di giocare nella mia squadra del cuore. Io avevo vinto un torneo di Viareggio, da capitano della squadra Primavera, e mi ritrovai in prima squadra”.

    Alberto, chi furono i tuoi allenatori alla Samp?

    “Il primo anno Giorgio Canali, l'uomo a cui io e tanti altri della mia generazione devono tutto, ci ha portato nel calcio moderno, ci ha insegnato l'educazione, la tecnica, la tattica. Con lui, fu l'ultimo anno in cui la Samp portò 7 giocatori dalla Primavera in prima squadra. L'anno dopo subentrò Lamberto Giorgis, mi ha fatto fare una quindicina di partite preferendomi spesso a un mostro sacro come Marcello Lippi”.

    Che giocatori c'erano in quella Samp?

    “Lippi, Cacciatori, Arnuzzo, Savoldi, Orlandi, Bresciani, Tuttino, Chiarugi, Ferroni, Talami, per citarne alcuni”.

    In che ruolo giocavi?

    “Difensore centrale, libero o stopper si diceva a quei tempi. Il mio errore fu non puntare decisamente a fare il libero. Nascevo centrocampista e non ero abbastanza cattivo per fare lo stopper. Giocai anche da mediano, ricordo ad esempio una partita contro la Lazio in cui marcai un certo “Bombardino” Nanni”.

    Raccontaci di Lippi:

    “Marcello era un giocatore di grande personalità e di grande tecnica, era pure un bell'uomo, insomma un predestinato, faceva l'allenatore in campo già allora”.

    Che Sampdoria era?

    “Quella era una Sampdoria povera, di medio profilo. Ricordo che Saltutti, uno dei big, guadagnava sui 60 milioni di lire l'anno. Aveva due gemelli e li chiamavamo 30 e 30”.

    Ricordi qualche partita in particolare?

    “Si, ricordo un Sampdoria-Udinese. Era l'Udinese dei miracoli di Massimo Giacomini, selezionatore della nazionale di Serie B, una squadra che in tre anni sali dalla C alla A. Nel primo tempo andai in difficoltà in marcatura con Vagheggi che andava a 200 all'ora, nel secondo tempo Lippi ebbe un problema, passai a fare il libero, feci 45' di spessore e Giacomini a fine gara mi fece pubblici elogi”.

    Altri ricordi?

    “L'esordio in Coppa Italia col Rimini, fu la prima volta dall'inizio. Nel 76/77 invece ero aggregato alla prima squadra con Bersellini, alla quartultima giochiamo contro la Roma, avrei dovuto marcare Pierino Prati, ma alla domenica mattina veniamo a sapere che Prati si è strappato e non avrebbe giocato. Cosi Bersellini fece giocare Arecco al mio posto. A quei tempi comunque c'erano pochissime riserve, quindi anche andare solo in panchina era un successo”.

    A proposito di Arecco, vi siete poi rincontrati nei dilettanti come allenatori:

    “Osvaldo è una persona incredibile fuori dal campo, in campo ne vedi un'altra, si trasforma letteralmente”.

    Rimpianti per aver lasciato la Samp?

    “Un errore che non rifarei, in fondo a scendere categoria c'era sempre tempo. La Sampdoria stava acquistando due giocatori, Lippi andò alla Pistoiese, loro cercavano Pezzella e Logozzo, per il rischio di giocare poco preferii andare a Piacenza dove arrivammo terzi con uno squadrone costruito per vincere il campionato. In quella squadra c'era un certo Giuliano Fiorini, che passando dal Piacenza alla Lazio decuplicò il suo ingaggio. Avessi saputo aspettare magari sarei stato ancora molto tempo alla Samp...”

    Oggi come vedi la Samp dei tempi moderni?

    “Da tifoso ho ripreso un po' di confidenza che avevo perso, la società e l'allenatore stanno facendo benissimo, speriamo a fine anno di tornare in Europa...”

    Ma il tuo mondo com'era?

    “Era un mondo diverso, i soldi erano meno, prima eri molto legato alla società e dipendevi da lei, con la legge Bosman è cambiato tutto; le società più ti pagavano, più potevano pretendere in caso di vendita, in base all'età, al valore del contratto, alla categoria”.

    LA CARRIERA DI MARIANI GIOCATORE

    Sampdoria (B), Piacenza (serie C, due anni e mezzo), Salernitana (C1), Piacenza (C1), Rapallo (D), Entella (D e tre anni C2), Levanto (D), Pontedecimo (D), Baiardo (Promozione), Fia Italbrokers (Uisp).

    LA CARRIERA DI MARIANI ALLENATORE

    juniores nazionale del Rapallo (91/92), Rapallo (D, 28 punti su 30 con spareggio di Alessandria contro il Livorno), Rapallo (arresto di Caresana ed esonero), Sestri Levante (5 anni), Lavagnese (4 anni dalla prima alla D), Polis, Bogliasco, Novese (D), San Cipriano, allievi regionali Entella, Rapallo, Camogli, Campomorone, Athletic (6 anni).

    www.settimanasport.com/2019/03/07/l...-sampdoria.html

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    Edited by Tore MB - 17/5/2020, 16:20
     
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    L’uomo del giorno è l’allenatore dell’Athletic Club, Alberto Mariani: “Mi sembra di percepire nel mondo del calcio che ci sia stima nei miei confronti soprattutto dal punto di vista umano, e mi fa molto piacere” – Puoi dirlo forte, mister!

    Conosciuto e stimato a livello umano – “Alberto è bravo, non si discute in campo, riesce a lasciare un bel ricordo a tutti. È un allenatore molto schietto, una bravissima persona e un bravissimo allenatore”, dice il nostro Tommy Imperato, che come sappiamo dovrebbe essere una fonte abbastanza affidabile 😂 – ma, a livello tecnico una carriera davvero importantissimi, sia da giocatore, con un passato nella Samp di Canali, sia da allenatore, come timoniere di piazze importanti come Lavagna, Rapallo e soprattutto Sestri Levante. E oggi all’Athletic, quella che per lui è oggi una grande e importante famiglia: ma basta spoiler, vi lasciamo all’intervista…

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    OGGI SEI UN ALLENATORE DI GRANDE ESPERIENZA, RICONOSCIUTO IN TUTTA LA REGIONE. MA SOPRATTUTTO, HAI ALLE SPALLE UNA CARRIERA PROFESSIONISTICA DA GIOCATORE INCREDIBILE… ERI UN DIFENSORE, GIUSTO?
    “Si, nascevo come centrocampista poi sono diventato difensore. Ero il vecchio ‘libero’, ma ho fatto anche per un certo periodo lo ‘stopper’… beh, con 300 partite circa fra B, C e Serie D, non mi posso assolutamente lamentare”.

    PROVIAMO A RIPERCORRERE INSIEME LA TUA LUNGA CARRIERA… A PARTIRE DA QUELLA DA GIOCATORE DELLA SAMPDORIA, LA TUA SQUADRA DEL CUORE.
    “Dall’età di dieci anni ho iniziato con le giovanili della Samp, ho fatto tutta la trafila sino ad arrivare all’esordio in prima squadra, passando per la vittoria con la Primavera al Trofeo di Viareggio. Da grande tifoso della Sampdoria, è stata una delle più grosse soddisfazioni della mia vita: era il mio sogno da bambino; riuscire a vestire la maglia della mia squadra, con quei colori magnifici… è un ricordo che mi porterò per sempre dentro al cuore. Il 1977 è stato un anno da sogno per me: in sequenza credo che la vittoria a Viareggio, la convocazione in prima squadra con la Samp in Serie A, e l’esordio in Serie B a settembre siano stati i momenti più alti e felici della mia carriera da giocatore. Ho avuto compagni di squadra come Lippi, Arnuzzo, Cacciatori, Orlandi, Savoldi, Tutino.. un allenatore come Giorgio Canali. un sogno”.


    POI IL PASSAGGIO DALLA SAMPDORIA AL PIACENZA.
    “Sì, dopo i due anni in B con la Samp sono passato al Piacenza (Serie C1), dove sono rimasto per tre anni prima di passare alla Salernitana. Poi, dopo un infortunio al ginocchio mi sono operato e sono sceso in Serie D al Rapallo e poi all’Entella di Giampiero Ventura, dove sono rimasto tre anni (con la vittoria del campionato e la promozione in C2). Ho fatto poi ancora due anni in Serie D con Levanto e Pontedecimo, e ho chiuso la mia carriera in Promozione (non esisteva ancora l’Eccellenza, ndr), con il Baiardo di Strinati e con alcuni dei vecchi compagni della Samp”.

    E POI HAI INIZIATO AD ALLENARE. ERA UNA COSA CHE TI AVEVA SEMPRE AFFASCINATO?
    “Ho iniziato ad allenare molto giovane, avevo circa 33 anni: il Rapallo, squadra della città in cui risiedo, mi diede la possibilità di guidare la Juniores Nazionale di Serie D. Nascendo come centrocampista, la costruzione e il senso del gioco sono caratteristiche che sono sempre state dentro di me, inoltre ho sempre avuto ottimi rapporti con i più giovani… diciamo che ci ho sempre pensato. Appena ho potuto, ho preso il patentino”.

    E ALLORA PROVIAMO A RIPERCORRERE INSIEME ANCHE LA TUA LUNGA CARRIERA DA ALLENATORE. PARTENDO DALLA MITICA STAGIONE 1992/93, CHE È RIMASTA NEGLI ANNALI DEL CALCIO RUENTINO…
    “Dopo, sempre a Rapallo, presi in mano la prima squadra. La stagione 1992/93 rimase nella storia del club, con la C2 sfiorata in quella mitica partita giocata in campo neutro al Moccagatta (Alessandria) contro il Livorno: riuscimmo a portare 500 persone ad Alessandria, quella partita era praticamente uno spareggio perché vincendo, avremmo raggiunto il secondo posto e la possibilità di ripescaggio. Quell’anno è stata un’impresa. Poi, rimasi anche l’anno successivo sino all’arresto del presidente Caserana, quando andò poi tutto all’aria…”

    E POI, SESTRI LEVANTE. DOVE, FORSE NON TUTTI SANNO, DETIENI UN IMPORTANTE RECORD…
    “Ho il record di longevità sulla panchina del Sestri Levante: mai nessuno c’è stato così a lungo. Sono stati cinque anni incredibili, dove ho incontrato dirigenti, persone meravigliose e importanti sia dal punto di vista tecnico che, e soprattutto, da quello umano. Sono rapporti che si sono consolidati nel tempo, che una delle cose più belle che ti può regalare il calcio. La tifoseria di Sestri Levante la conosciamo tutti, è calda ma anche esigente: tra varie peripezie mi hanno sempre riconfermato e abbiamo fatto davvero ottimi risultati. Sono rimasto lì sino a quando il presidentissimo corsaro Antonio Muzio non ha lasciato”.

    E LÌ COME MI HAI RACCONTATO HAI VISSUTO UN EPISODIO CHE TI HA UN PO’ ‘SEGNATO’ COME ALLENATORE.
    “Da allenatore, credo che nei dilettanti si debba sempre cercare di trovare la giusta misura: non girano i miliardi, quindi bisogna cercare di avere a disposizione giocatori il più possibile sorridenti. È chiaro che chi gioca meno, sorride un po’ meno… per questo, quando posso, se un giocatore durante la settimana si comporta bene e dimostra di lavorare con imperno, cerco sempre di trovare un modo per dargli soddisfazione. Così feci a Sestri Levante: credo fosse il primo anno che ero lì, giocavamo contro la Sampierdarenese del grande Salvatore Mango. Vincevamo 3-0 e avevamo la partita in pieno controllo. Cosa faccio? Proprio in ottica di quanto detto prima, faccio tre cambi per far giocare chi aveva trovato meno spazio. Peccato che la partita cambiò totalmente… i tifosi del Sestri, passarono dall’idolatrarmi ad attaccarsi alle griglie e dirmi di tutto. La Sampierdarenese fece due gol, ma fortunatamente non ebbe il tempo di fare anche il terzo perché l’arbitro fischiò, e così vincemmo comunque.

    Da quel giorno ti confesso che ho imparato, in queste situazioni, ad andarci più ‘con i piedi di piombo’: ma quell’episodio un pochino, come allenatore, mi cambiò. Una cosa è certa: se ho allenato cinque anni a Sestri Levante, posso allenare ovunque 😂. Con una tifoseria così, a Sestri Levante c’è il calcio, quello vero“.

    POI ALTRI QUATTRO ANNI SPLENDIDI CON LA LAVAGNESE.
    “Eh si, tre salti consecutivi, dalla Prima alla Serie D: è stata un’impresa anche in questo caso. A quei tempi ricordo che dissi al mio presidente – Siamo passati da pagina 28 della Gazzetta del Lunedì, a pagina 15 di TuttoSport! -. Fui poi esonerato, più per ragioni personali che calcistiche, a quattro giornate dalla fine… comunque, anche a Lavagna, ho trovato un ambiente in cui mi sono trovato davvero bene. Da allenatore, credo sia stata la piazza che forse mi ha dato più soddisfazioni: il triplo salto non è cosa da tutti, e avevo una squadra a disposizione davvero molto forte.

    Dopo questi lunghi cicli, ho iniziato un po’ a girare: Bogliasco, Novese, Polis, San Cipriano, Camogli, Entella (Allievi Regionali), Rapallo, Campomorone… e infine, eccomi qui all’Athletic. In tutte le società in cui sono stato, ho sempre trovato persone incredibili”.

    HAI RIMPIANTI?
    “Forse, quello di non avere mai avuto il coraggio di mollare il lavoro e provare a diventare un allenatore di professione. Qualche occasione l’ho avuto ma, un po’ per impedimenti, un po’ per mie scelte e timori, non le ho mai colte”.

    L’ ALLENATORE CHE TI È RIMASTO PIÙ NEL CUORE?
    “Giorgio Canali alla Samp cambiò la vita di tutti noi, leva ’56/’57. Basti pensare che quell’anno, dopo la vittoria al Torneo di Viareggio, in dieci passammo in prima squadra, cosa che oggi è praticamente impensabile possa accadere nelle società di calcio moderne. Grazie a lui siamo cresciuti a livello tecnico, con lui siamo passati dal calcio camminato al calcio moderno. Ancora oggi quando mi sento con i vecchi compagni (abbiamo una chat che si chiama ‘Torneo di Viareggio 77’), riconosciamo che ci ha fatto crescere come calciatori, ma soprattutto come uomini. Lo porterò sempre con me.


    Tra i professionisti invece ammiro moltissimo Maurizio Sarri, che ho incontrato da avversario nel 2001 quando ero alla Lavagnese (era il tecnico del Sansovino). Ricordo che già ai tempi mi aveva impressionato per organizzazione di gioco, credo sia giusto sia arrivato dov’è ora. E lui, a differenza mia, ha avuto il coraggio di rischiare, lasciare tutto e fare della sua passione un lavoro. Lo ammiro molto”.

    CHI È IL GIOCATORE PIÙ FORTE CON CUI TU ABBIA MAI GIOCATO? QUALE INVECE QUELLO CHE HAI ALLENATO?
    “La risposta alla prima domanda è facilissima: Alviero Chiorri. Non è secondo a nessuno, neanche a gente che poi è riuscita a fare la storia del calcio: peccato che abbia avuto una testa un po’ così… se avesse incontrato qualcuno un po’ più paziente nell’instradarlo, sono convinto che avrebbe fatto ancora di più. Un giocatore incredibile!
    Tra quelli che ho allenato, non ti dico a livello tecnico ma dal punto di vista umano: Andrea Conte, il mio fedelissimo e che sono felice di avere tuttora come direttore sportivo; e Luca Di Pietro, sempre con me da quando sono all’Athletic”.

    QUALI SONO LE CARATTERISTICHE CHE DEVONO AVERE I GIOCATORI PER LA TUA FILOSOFIA DI GIOCO?
    “Un allenatore da solo non fa niente, fa bene se all’interno dello spogliatoio ci sono almeno quei due o tre giocatori che lo aiutano a portare avanti il lavoro fatto sul campo. Solo così arrivano i risultati, per questo sono proprio questi i giocatori fondamentali nella mia squadra. Diventano esempi per il gruppo. Nel nostro caso, Edo Grosso e Luca Di Pietro mi hanno sempre dato un aiuto incredibile. Il gruppo è fondamentale: e con gruppo intendo non solo giocatori, ma tutto l’ambiente e lo staff, dal magazziniere al presidente. Ti faccio un esempio: è domenica, piove, e il magazziniere ti ha portato i tacchetti alti: senza quei tacchetti, saresti scivolato e avresti preso gol”.

    E ORA, SEI AL TUO SETTIMO ANNO ALL’ATHLETIC.
    “È una famiglia: lo so che lo diciamo e ripetiamo sino allo sfinimento, ma è così. Abbiamo un presidente come Sergio Imperato che è incredibile, è come se fosse il padre di tutti noi: condivide tutto, gioie e problematiche… ti viene istintivo cercare di aiutarlo con tutti i mezzi a disposizione. Mi ricordo un anno che ero rimasto davvero deluso, la stagione in cui arrivammo terzi e uscimmo dai play off. Tanti decisero di andare via, per vari motivi. Ero rimasto scosso, mi chiedevo: ma come fanno a non capire quanto si sta bene qui all’Athletic? Il risultato: l’anno dopo abbiamo vinto il campionato, e tanti di loro sarebbero tornati…”

    QUEST’ANNO, DOPO UN AVVIO UN PO’ COSÌ COSÌ, STAVATE RIUSCENDO A RISOLLEVARVI.
    “L’Eccellenza è una categoria che richiede esperienza. Non abbiamo mai sfigurato, ma abbiamo fatto tanti errori e li abbiamo pagati. Ecco, l’inesperienza ha giocato un ruolo importante nella prima parte della stagione. Poi con i rientri di alcuni giocatori e alcuni innesti nel mercato invernale, abbiamo fatto un girone di ritorno da sogno: contando i punti, se non sbaglio, saremmo quarti. E anche nelle partite in cui purtroppo non siamo riusciti a fare il risultato, ho avuto buone risposte dal campo. Peccato che quasi certamente non si concluderà questo campionato”.

    A TAL PROPOSITO, CHE NE PENSI DI QUELLO CHE STA ACCADENDO? CHE IDEA TI SEI FATTO?
    “Spero che quello che sta accadendo non crei problemi gravi alla società. Trovo giusto che il campionato sia stato interrotto, secondo me riprendere ai nostri livelli è impossibile: non è certo neppure che si ricominci in Serie A, puoi capire qui con i mezzi che abbiamo… Chissà quando ricominceremo. Il campo ci manca, manca a tutti. Ogni tanto nel nostro gruppo su whatsapp scrivo – ‘Mi mancate’ -. Secondo me, non voglio passare per quello interessato, ma non credo che a nessun livello sia giusta la cristallizzazione della classifica. Mancano otto giornate, è tutto ancora aperto. Di tutte le varie ipotesi che ho sentito, secondo me quella che scontenterebbe di meno è quella che contempla due promozioni e nessuna retrocessione (con magari una retrocessione in più l’anno successivo). Non si può neanche pensare di riprendere il campionato da settembre. Spero riescano a prendere la decisione più logica possibile”.

    COSA VEDI NEL FUTURO DI ALBERTO MARIANI?
    “Domanda da un milione di dollari! Prima intanto speriamo intanto di poterci rialzare il più presto possibile da questo momento difficile… poi cercheremo di capire. Spero di rimanere all’Athletic, sto bene, e poi dicono che dopo il settimo anno il matrimonio vada in discesa 😂 Non sono un sognatore, sono un pragmatico: so che può succedere qualsiasi cosa per questo non posso risponderti con certezza. Ti posso dire che spero di rimanere all’Athletic perché qui ho la fortuna di poter fare veramente l’allenatore: nel calcio di oggi, non è facile aver carta bianca, senza dover sottostare a dirigenti, presidenti, massaggiatori, ecc…. e questo è impagabile, più di qualsiasi rimborso”.

    www.dilettantissimo.tv/luomo-del-giorno-e-alberto-mariani/
     
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