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29 maggio 2022, 08:21 Stefano Pellegrini, la vita è bella anche senza calcio: «Bastano un campetto e un pallone per sognare. Ma ai ragazzi dico di studiare e imparare un lavoro»
Parla il terzo dei "fratelloni" cresciuti a Varese, oggi anche triatleta: dall'infortunio che gli impedì di andare in panchina a Varese con Catuzzi quando aveva 16 anni alle "cazziate" del fratello Luca alla Samp, fino al colpo di fulmine con Udine passando dagli insegnamenti di Ambrogio Borghi, Pietro Anastasi e Andrea Balestra. «Ho cambiato vita e faccio l'imprenditore immobiliare: non frequento gli stadi e non ho rimpianti»
Varese sarà sempre famosa per i molteplici calciatori che sono diventati grandi ai piedi del Sacro Monte e che hanno scritto la storia del calcio, ma la Città Giardino è anche conosciuta per una piacevole curiosità, ovvero quella di avere tre fratelli tutti cresciuti nelle fila biancorosse e che hanno giocato in serie A in società blasonate. Parliamo di Luca, Davide e Stefano Pellegrini. Dopo le interviste ai primi due, tocca a Stefano che vive a Udine e, a 54 anni, svolge l’attività di imprenditore immobiliare dopo aver appeso le scarpette al chiodo.
Stefano, come ha iniziato la sua brillante carriera? Anch’io, come i miei fratelli, nel cortile di casa di via Albani e nel vicino campetto. Poi, come tanti ragazzi della nostra generazione, sono andato al Bosto, per poi essere selezionato dalle giovanili del Varese.
Un ricordo dei suoi mister nel vivaio? Ho avuto la fortuna di avere tre allenatori straordinari che mi hanno dato tanto dal punto di vista tecnico e caratteriale. Il primo è Ambrogio Borghi, grande libero di una gloriosa serie A, molto attento alla tecnica e al controllo del pallone: trasmetteva stile, eleganza, competenza e grande carica. Poi Pietro Anastasi: un super uomo che, nonostante il suo alto profilo di calciatore, inculcava umiltà e metteva a proprio agio, ascoltandoti e consigliandoti. Era un personaggio straordinariamente empatico. Altro grande allenatore che mi ha lasciato un ricordo straordinario nel periodo delle giovanili fu Andrea Balestra: un vero talento, come poi ha ampiamente dimostrato.
Quando fu chiamato in prima squadra nei biancorossi? Purtroppo, per tante ragioni legate ad alcuni infortuni, la mia esperienza in prima squadra al Varese non fu per nulla eccellente. Ricordo che dovevo andare in panchina all’età di 16 anni con allenatore Catuzzi, ma uno stiramento muscolare vanificò tutto: strano destino... La mia fortuna fu rappresentata da Beppe Marotta che mi portò a Monza qualche anno dopo, nel 1987, dove disputai un campionato strepitoso giocando 29 partite e centrando diversi obiettivi.
Dopo l'esperienza in Brianza fu la volta della Sampdoria con suo fratello Luca. Arrivai a 23 anni in blucerchiato, in una società piena di grandi aspettative e con nomi importanti come Beppe Dossena e Roberto Mancini, tanto per citarne due. L'inizio non fu facile: per giocare in serie A serve la preparazione tecnica ma anche quella psicologica. Nonostante la presenza di mio fratello, non potevo vivere sugli allori. Luca mi dava le giuste motivazioni e consigli importanti ma anche tante "cazziate" da fratello maggiore che ti vuole bene e vuole tirare fuori il massimo dalla tua personalità. Quell'anno giocai 13 partite prima di passare alla Roma dove rimasi dal 1989 al 1992 disputando 45 gare, per poi terminare la mia carriera in serie A nell’Udinese dove ho giocato per cinque anni.
È rimasto legato alla terra friulana... La vita è strana. Arrivai a Udine dopo Roma, e potete immaginare che gran cambiamento fu nel modo di vivere. Con il passare dei mesi mi sono accorto che era il mio luogo ideale e qui mi sono fermato, anzi con il tempo anche mia mamma Ida è venuta a vivere in questa stupenda regione.
Ha chiuso definitivamente con il calcio? Certo, ho cambiato totalmente vita. Faccio l’imprenditore immobiliare e non ho nessun rimpianto del pallone, anche se seguo le partite in televisione, ma non frequento gli stadi. Mi piace lo sport, seguo l’automobilismo e tifo Ferrari, oltre al motociclismo, e pratico il triathlon, allenandomi tutti i giorni con grande soddisfazione.
Legami con Varese? Ho diverse conoscenze. Sono legato da affetto e amicizia con Gianluca Boesso, seguo il percorso del figlio Giovanni che gioca nella Varesina: credo che sia una bella promessa. Gli unici contatti che ho nel mondo del calcio sono quelli con Marco Branca, Valerio Bertotto e Salvatore Giunta.
Lei ha smesso di giocare per intraprendere una nuova attività: dopo il calcio, cosa consiglia ai giovani? Ai ragazzi dico di metterci passione e sacrificio. Il calcio è uno sport di gruppo che insegna a socializzare, però gli stessi valori e lo stesso impegno devono essere messi nello studio per imparare un mestiere a cui dedicarsi una volta che si smette. È fondamentale imparare una professione perché la selezione per arrivare ai massimi livelli, oggi come ieri, è molto dura. Ragazzi, imparate un mestiere e studiate.
Con Luca e Davide vi trovate spesso? Certo, vengono a trovare mamma e al telefono abbiamo contatti continui.
Parlate di calcio quando vi vedete? No dai... parliamo della Ferrari che quest’anno ci sta davvero entusiasmando. E poi mamma ci prepara qualche ricetta gustosa per cui andavamo ghiotti da bambini. Quale? Chiedetelo al nostro fratellone maggiore.
https://www.varesenoi.it/2022/05/29/leggi-...e-per-sogn.html
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