Gaudenzio Bernasconi (1954-1964)

Difensore centrale

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    Gaudenzio Bernasconi
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    La cerimonia di premiazione avvenuta ieri nella sede del Samp Club Carige:
    si riconoscono Gaudenzio Bernasconi, padre Fusi e il presidente Enrico Mantovani

    CORRIERE MERCANTILE giovedì 28 aprile 1994



    II campione di un tempo oggi si dedica a fare la balia. Alice, di 6 anni, e Camilla, di 2, riempiono le giornate sue e della vivacissima moglie Anna. A Monte San Pietro, Gaudenzio Bernasconi, 62 anni il prossimo agosto, non vive di ricordi , ma si tuffa volentieri, per una serata, nel mare della nostalgia. Il prossimo settembre, Roberto Mancini - dopo aver detronizzato Bassetto dal titolo di goleador sommo della Samp di ogni tempo - gli strapperà lo scettro di sampdoriano più fedele di sempre: il popolare "Orsacchiotto" («Un vezzeggiativo che mi hanno appiccicato i tifosi della Samp, forse per la mia non comune riservatezza», racconta) ha giocato a Genova dal '54 al '65, collezionando 338 presenze.
    Gaudenzio, una bandiera della Samp dei pionieri
    Una bandiera, insomma, di sicuro uno dei calciatori più apprezzati nei 35 anni di vita che hanno preceduto il "boom" mantovaniano.

    Quel celebre maggio a Budapest e in Russia
    L'Europa, già. Gaudenzio fruga nel sacco dei ricordi e rammenta il viaggio a Buda pest in occasione del retour match di Coppa delle Fiere contro il Ferencvaros. «Quello era un campo da pattinaggio su ghiaccio e noi non avevamo i tacchetti adatti. Ne prendemmo sei. Ricordo anche la tournée in Russia: dall'Italia avevamo portato molte paia di calze per barattarle con prodotti locali, ma non trovammo assolutamente nulla da acquistare».
    Altri tempi, ma Bernasconi non rimpiange di essere nato in anticipo. «Sono contentissimo di quanto ottenuto dal football, non mi lamento assolutamente. Certo, quel calcio era molto differente: si giocava con molta tecnica, ma senza eccessivi tatticismi. Solo con Lerici abbiamo studiato schemi a tavolino, ma non con Monzeglio e gli altri». Anche lui ha indossato la maglia azzurra («Non era semplice inserirsi nella politica dei blocchi degli squadroni» - precisa), e per molti è sgorgato spontaneo un paragone con Vierchowod. Lui lo respinge: «Innanzitutto, complimenti a Pietro: a 34 anni suonati, è straordinaria la sua freschezza atletica. Entrambi giocavamo d'anticipo e forse lui è un po' più cattivo di me, che venivo accusato di essere troppo buono. Vero, non ho, mai fatto male a nessun avversario, e ne sono fiero. Tornando al raffronto, noto che lui ogni tanto la butta anche dentro, mentre io non ho mai segnato un gol. A quei tempi non si superava mai la metà campo, badando esclusivamente a rompere il gioco altrui. Solo una volta, a Vicenza, fui impiegato da Monzeglio come centravanti, ma prima ancora di toccare un pallone eravamo già sotto di due reti...».
    Una cascata di rimembranze. Per esempio, quel duello torinese con John Charles ripreso dalla tv. «Che rabbia. Controllai magnificamente il gallese senza commettere un fallo, ma lui, mentre stava cadendo a terra, in torsione, mi buggerò. È stato il più grande di quel tempo al pari di Nordhal, che aveva il mio stesso passo: velocissimo sul breve ed anche robusto».

    Quanta armonia in quella squadra!
    Dagli antagonisti ai compagni. «In quella Samp mai un bisticcio, una discussione in campo. Molti dei vecchi compagni oggi non ci sono più, ma che bravi. Rammento Ocwirk, quello Skoglund che appena giunto dall'lnter, promise che non avrebbe più bevuto. A Caldirola, invece, si scolò parecchio vino e fu pizzicato a camminare sul tetto. Eppoi Bergamaschi, che chiamavamo Spanna in onore al padre, che lavorava in un caseificio di Crema: non l'ho più incontrato. Invece ogni tanto mi vedo a cena con Vicini, che abita a Brescia e i cui figli erano amici dei miei. Azeglio fu soprannominato Zanzara perché era molto buono, ma ogni tanto pungeva pesantemente».
    Gaudenzio, un fiume in piena. «Una bella Samp, la nostra, specie con Ravano presidente, lo feci in tempo ad evitare anche la prima retroces-sione. Certo, oggi è tutto diverso: un Samp-Triestina tren-t'anni fa attirava a Marassi 7/8 mila spettatori, e Genoa-Triestina ne calamitava più di 20 mila. Era una società giovane, la nostra, ma già emergente».



    La Gazzetta dello Sport - giovedì 28 aprile 1994

    Consegnato ieri un premio al giocatore che è stato una grande bandiera sampdoriana
    Dici Samp e pensi a quei due


    Abbraccio Bernasconi-Mancini: mai nessuno più blucerchiato di loro



    Ben 338 le presenze del primo contro le 334 dell'attuale capitano: «I primati sono fatti per essere battuti — ha detto "l'orsacchiotto" —, perciò faccio gli auguri a Roberto» - Il premio messo in palio dalla Banca Carige sarà devoluto in beneficenza all'Istituto Nazionale Sordomuti - Enrico Mantovani ha promesso di concludere prima della trasferta in Oriente i rinnovi dei contratti di Invernizzi, Nuciari, Lombardo e dello stesso Mancini

    GENOVA — «La Sampdoria è un albero buono, e dà buoni frutti». Ha chiuso così, ringraziando commosso, padre Pietro Fusi, dell'Istituto Nazionale Sordomuti, al quale il premiato di ieri, una bandiera della Samp di tutti i tempi, ha devoluto il contributo finanziario collegato al premio.
    I donatori erano i tifosi di un club un po' speciale come quello dei dipendenti della Banca Carige. Speciale perché, in collegamento con la Fondazione dell'Ente, presieduta dal professor Fausto Cuocolo, attribuisce ogni anno un riconoscimento a un personaggio blucerchiato impreziosendolo con 4 milioni da devolvere in beneficenza.
    Una cosa bella, insomma, perfettamente in linea con quanto la società di via XX Settembre sta facendo in più di due lustri in varie occasioni, per sostenere concretamente chi ha bisogno o per smuovere l'attenzione della gente sui problemi dei meno fortunati. Ad avvalorare questa unità d'intenti tra il club della Carige e la società Sampdoria, ieri sera, a presenziare alla premiazione c'erano il presidente Enrico Mantovani, l'allenatore Eriksson e il capitano Roberto Mancini. Quest'ultimo c'era, in realtà, in una doppia veste. Perché il premiato di quest'anno è un giocatore simbolo come lui, soltanto con trent'anni di più sulla carta d'identità e con un intervallo altrettanto lungo nei campionati disputati in maglia blucerchiata.
    Gaudenzio Bernasconi, allora detto «l'orsacchiotto», era il numero cinque tout court di una Sampdoria che fu grande a sua volta in anni altrettanto difficili degli attuali per chi provava a scalare l'olimpo calcistico senza avere alle spalle le metropoli.


    Una prodezza di Gaudenzio Bernasconi i maglia blucerchiata. in alto, Roberto Mancini, il presidente Enrico Mantovani e Gaudenzio Bernasconi ieri (Tel. Pegaso)



    «Con quella maglia, che ai miei tempi significava semplicemente centromediano, e cioè stopper e libero di se stessi — rammentava ieri sera Berna-sconi —, misi insieme 338 presenze nella Samp, dal 1954 al '65. Orgoglioso allora come oggi, e grato a quanti si ricordano di me». «I primati sono fatti per essere superati — ha poi sorriso con affetto a Mancini —, perciò in bocca al lupo a Roberto che, tra cinque partite, mi avrà sostituito in vetta a questo albo d'oro».

    Sotto gli occhi compiaciuti del presidente e del mister, il «vecchio» Gaudenzio (si fa per dire: «Ero 85 chili quando smisi di giocare e non ho preso un etto!» ammoniva lui), ha consegnato il virtuale testimone al capitano della Sampdoria di oggi: regalando un pizzico di commozione ai meno giovani dei numerosissimi tifosi intervenuti alla festa, e preparando, in un certo senso, altrettanta partecipazione emotiva per le uma-nissime parole di padre Fusi, un prete sampdoriano come lui stesso ha voluto definirsi, impegnato da oltre quarant'anni nella difficile opera di rieducazione e rinserimento dei giovani sordomuti.
    Mancini, con la semplicità di sempre, non ha saputo nascondere quanto gli stia a cuore il traguardo... di Bernasconi: «È una cosa importantissima, che rimane nel tempo. È un restare ancora più vicini all'affetto dei tifosi, vale a dire a una componente fondamentale per chi fa questo mestiere».
    Così Roberto, perfettamente a misura di se stesso, e a ulteriore conferma di una scelta da qui all'eternità che non pare aver fatto solo lui. Enrico Mantovani, non a caso, ha por sfiorato il tema rinnovi di contratto, ed è stato molto chiaro:
    «Sostanzialmente sono quattro gli accordi che ci proponiamo di concludere in questi giorni, prima della trasferta in Oriente. Due riguardano le scadenze imminenti dei contratti di Nuciari e Invernizzi. Gli altri due riguardano ovviamente Mancini e Lombardo, per i quali si tratta di prolungare in anticipo il rapporto che oggi li lega a noi rispettivamente ancora per uno o due anni». Gli applausi alla Sampdoria del passato, nel stupenda palazzina che ospita il club Pisa, si sono perciò presente, al cui giovane presidente la tifosa ha voluto confermare a che nell'occasione di que sto premio la grande simpatia con cui ne aveva salutato pochi mesi fa la decisione di occupare la poltrona che fu di suo padre. Non è mancato qualche spicciolo tecnico, perché presenza di Eriksson era ghiotta, per i sostenitori della Samp. All'allenatore è toccato il compito di ribadire per l'ennesima volta che proprio tutte le speranze per Gullit non sono ancora tramontate e che comunque, se Ruud se ne andrà, la Samp non stravolgerà certamente il suo volto tattico. «Anche perché in tal caso — ha aggiunto Eriksson — sono sicuro che troveremo qualcuno di grande valore in grado di sostituirlo. Una squadra non si basa su un solo uomo, nemmeno se questo è un fuoriclasse assoluto».
    Un abbraccio e un brindisi tra il «vecio» e la bandiera blucerchiata di oggi hanno concluso la serata. Con padre Fusi a ripetere a se stesso che essere sampdoriani, nelle occasioni della bontà, fa anche bene al cuore. E se lo dice lui, che sta in trincea sul fronte del dolore da quasi mezzo secolo, si può stare tranquilli: anche il calcio, usato in un certo modo, ha le sue brave valenze per fare un po' di bene.
     
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