Associazione Sportiva Roma

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  1. sampdoria olè
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    Stadio vietato ai calciatori rissosi


    Sentenze, Giustizia & Dintorni (a cura dell' Avv. Marco Martini e in collaborazione col Portale giuridico Litis.it)
    Stadio sbarrato anche per i calciatori e i dirigenti violenti e non solo per i tifosi. Il questore, secondo quanto stabilito dalla Cassazione, può infatti vietare l'ingresso allo stadio anche ai tesserati di federazioni sportive che si rendono protagonisti di risse in campo «indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva». La linea dura dei magistrati della suprema corte arriva con la sentenza 33864 della terza sezione penale, che ha in sostanza stabilito che lo Stato può intervenire anche nei confronti dei tesserati rissosi allo stadio, e non solo dei tifosi, indipendentemente dai provvedimenti presi dalla giustizia sportiva.
    I giudici della Cassazione hanno accolto il ricorso della procura di Santa Maria Capua Vetere che si era opposta a una ordinanza del gip del Tribunale della stessa città con la quale il giudice si era rifiutato di convalidare il provvedimento del questore che aveva inibito per 18 mesi l'accesso allo stadio a un dirigente e a un calciatore della società sportiva "Calvi risorta", entrambi tesserati della Figc, perché protagonisti di una rissa sul campo da gioco poi proseguita negli spogliatoi.
    Il gip, nel giugno 2006, non convalidando il divieto imposto dal questore aveva sostenuto che i provvedimenti previsti dall'articolo 6 della legge 401/89 «non si applicano alle condotte poste in essere nei campi da giochi o nelle immediate vicinanze da tesserati di federazioni sportive» e questo perché «esistono possibilità di sanzioni specifiche da parte dei competenti organi federali». Di diverso avviso la Cassazione che, applicando la linea dura, ha sottolineato come «le misure adottabili ai sensi della legge 401 dell'89, con riferimento a turbative nello svolgimento di manifestazioni sportive, si applicano» anche nei confronti di «tesserati di federazioni sportive e indipendentemente da ogni altro provvedimento di competenza degli organi della disciplina sportiva». La Corte ha accolto quindi la tesi della procura di Santa Maria Capua Vetere, secondo la quale «non può ipotizzarsi una rinuncia di giurisdizione da parte dello Stato in favore delle federazioni sportive, data la diversità tra tutela dell'ordine pubblico e repressione di condotte contrarie alla regolamentazione sportiva».
    Ad Antonio V. e a Giuseppe B., un dirigente e un calciatore della società sportiva "Calvi risorta" il questore di Caserta, con provvedimento del 6 giugno 2006, aveva imposto il divieto di accesso ai campi di calcio per 18 mesi, prescrivendo inoltre l'obbligo di presentarsi ai carabinieri in concomitanza con gli incontri di calcio disputati dalla società di appartenenza. A bloccare il provvedimento del questore era stato il gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, nel giugno del 2006, oltre a sostenere la carenza di elementi probatori sulla rissa, aveva rilevato che i provvedimenti previsti dalla legge dell'89 non si possono applicare ai tesserati di federazioni sportive in quanto «esistono possibilità di sanzioni specifiche da parte dei competenti organi federali».
    Contro questa decisione ha fatto ricorso con successo in Cassazione la Procura di Santa Maria Capua Vetere. La suprema Corte ha accolto il ricorso, scrive il relatore Aldo Fiale, sostenendo che «la tesi» del gip del Tribunale «è errata». Una condotta «non rispettosa delle regole del gioco - annota infatti piazza Cavour - ma comunque finalisticamente inserita nel contesto di un'attività sportiva ed intimamente connessa alla pratica dello sport, è ben diversa da quella tenuta nell'ipotesi in cui la gara agonistica costituisca soltanto l'occasione dell'azione violenta». Da qui l'applicazione della linea dura da parte della Cassazione che sottolinea ancora come «il decreto del questore è stato emesso a tutela dell'ordine pubblico, posto in pericolo dalle condotte» del dirigente sportivo e del calciatore, «la cui materialità è del tutto avulsa dall'esplicazione di attività agonistica e trae dal contesto sportivo mera occasione all'origine del comportamento illecito».
    Ora il gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dovrà ripronunciarsi sul caso, tenendo conto del verdetto della Cassazione.

     
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