Giuseppe Signori (1998)

Attaccante

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  1. Duncandg
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    bel giocatorino signori purtroppo venne alla Samp portandosi oltre a diversi problemi fisici,la delusione per aver lasciato la lazio e per esser stato lasciato dalla moglie
    era rotto e depresso peccato perchè negli anni successivi a bologna fece molto bene
     
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  2. sampdoria olè
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    Giuseppe Signori
    Il bomber che visse due volte


    solocalcio.com
    Il Sommo Vate ha già l’aria pensosa, di mattina presto. Se ne sta lì, col mento appoggiato sulla mano, a guardare Bologna che gli gira intorno, che cambia e che corre. Immobile da sempre, per i bolognesi di oggi, che passano davanti a quella statua e magari non lo sanno che questo era il suo angolo, era l’angolo di Giosuè Carducci, il poeta. I vecchi, quelli che l’avevano conosciuto davvero all’inizio del secolo, se ne sono andati per sempre e non possono più raccontare. Restano certe fotografie ingiallite, quelle dell’osteria all’angolo tra Via Mazzini e i viali di circonvallazione, dove capitava a volte che il poeta tirasse tardi la sera davanti a un bicchiere di vino, e dove oggi c’è la filiale di un istituto bancario. E resta questo angolo di Bologna che parla di lui. Piazza Carducci, casa Carducci, il traffico che scorre intorno e nemmeno si azzarda a disturbare i pensieri del vecchio professore.
    Bella storia, quella del poeta e del calciatore. Il primo ha lasciato nell’aria la sua presenza, il secondo ha deciso di vivere qui, di rinascere qui. E in un attimo, guarda come è strana la vita, l’angolo di Carducci è diventato anche l’angolo di Signori. Di Signori Giuseppe da Alzano Lombardo, professione bomber. Beppegol, insomma. Che quando ha scelto di ripartire da Bologna ha voluto immergersi nella città. Di vivere a un passo dal centro, di capire questo piccolo mondo che gli gira intorno. Perché gli sembra che ne valga la pena.

    «Quando sono arrivato, mi avevano proposto diverse sistemazioni. Anche la villetta dove ha vissuto per un anno Roberto Baggio. Io e Roby siamo amici, molto amici, ma in questo caso direi che la pensiamo diversamente. Non mi piaceva l’idea di vivere fuori, in periferia. Comodo, certo, perché era a due passi da Casteldebole, cinque minuti per arrivare all’allenamento. Ma io mi sono fatto un’idea precisa di Bologna. È una città meravigliosa, piena di angoli segreti da scoprire. Non volevo privarmi del gusto di uscire per strada e camminare tranquillamente sotto i portici, alla scoperta del centro della città, dei suoi monumenti, dei suoi negozi. Della sua gente».

    Molto presto di mattina, Beppe Signori cammina e si infila tra gli sguardi dei passanti. Lo salutano, ricambia il saluto. Un sorriso aperto gli illumina il volto. Finalmente, verrebbe da dire. La “nottata”, per dirla con Eduardo, sembra davvero passata. Dietro le spalle tutti i ricordi spiacevoli. E per il momento anche quelli buoni. Perché a trent’anni di ricordi non si vive, a trent’anni la vita può anche ripartire di slancio. Basta volerlo.
    «In un certo senso è così. Perché è vero che gioco a calcio da tanto tempo, ma è anche vero che dopo un’operazione come quella che ho subìto è come se qualcosa si fosse fermato. Forse è giusto, allora, parlare di un’avventura tutta nuova da affrontare».

    In fondo, il ragazzino che iniziava a fare sul serio col calcio una quindicina d’anni fa e il campione di oggi hanno qualcosa in comune. La stessa voglia, gli stessi stimoli.
    «La volontà è quella. Prima la mettevo in mostra sui campetti di periferia, a due passi da casa. Adesso lo faccio sui palcoscenici di Serie A. Certo, sono scenari diversi. Ed è anche vero che uno alla mia età potrebbe decidere di tirare i remi in barca, non ci sarebbe nulla di strano. In fondo, il calcio di soddisfazioni me ne ha date parecchie. Ho giocato in Nazionale, ho partecipato a un Mondiale, ho lasciato qualche segno del mio passaggio. Il fatto è che credo di avere ancora margini di miglioramento, e la voglia di dimostrarlo è grande».

    La stessa di allora, appunto. Quella del ragazzino che dopo quattro anni nelle giovanili dell’Inter venne spedito a Leffe. Ufficialmente per farsi le ossa, ma la realtà è che l’Inter poi Beppe Signori non lo cercò più. «Fu una vera e propria scottatura. Non c’era più spazio per me, ero uno dei più giovani e il mio destino restò segnato. Mi lasciarono a Leffe, dove poi rimasi tre stagioni, tra Interregionale e C2. All’inizio fu un brutto colpo. Ho visto tanti ragazzi che giocavano con me perdersi, in situazioni analoghe. Del resto, il destino era quello: quando arrivavi alla Primavera, o diventavi un giocatore da prima squadra o finivi laggiù. Interregionale, C2, nella migliore delle ipotesi C1».

    In quei casi, ci vuole il carattere giusto per riemergere. «Io ci ho messo grinta, questo è sicuro. Il passaggio dalle giovanili dell’Inter a quelle del Leffe non mi creò nessun problema. Anzi, è stato lì che ho imparato cosa volesse dire sacrificarsi, perché al pomeriggio mi allenavo ma di mattina andavo a lavorare».

    Guardando al futuro con un po’ d’incertezza. Davanti c’era quel bivio: giocatore o chissà che altro...
    «Il proprietario del Leffe aveva un’azienda di macchine tessili. E io, che avevo studiato all’istituto tecnico, andavo a riparare quei macchinari. In quel momento lavorare era necessario. Col pallone guadagnavo davvero poco. All’inizio il rimborso spese, poi seicentomila lire al mese. Bisognava integrare. E anche pensare alla possibilità di un futuro diverso, certo».

    Dopo Leffe, gli anni di Piacenza e Trento. Passano inosservati, sugli annuari del calcio. Ma per la formazione del bomber sono stati importanti. «Il primo anno a Piacenza fu stupendo. La mia prima promozione, dalla C1 alla B. Con tanta gente che mi ha insegnato qualcosa. Vado a memoria, e sicuramente dimentico qualcuno: dico Degradi e Simonetta, Serioli e Madonna, Concina e Roccatagliata. Ero convinto di arrivare in B, invece finii a Trento. A Piacenza tornai l’anno dopo, finalmente tra i cadetti. Brutto ricordo, avevamo una bellissima squadra ma finimmo col retrocedere. Per fortuna, mi notò Zeman, che quell’anno allenava il Messina. Lui mi portò a Foggia e praticamente mi cambiò la vita».

    Certo che di gavetta ne ha fatta, Beppe Signori. Adesso si può dire che è servita, ma a quei tempi non dev’essere stata una marcia rilassante. «È stata dura, ci ho messo molta volontà. E devo tanto a mio padre Giobattista, anche. A quei tempi è stato fondamentale, mi seguiva a ogni partita, mi accompagnava ovunque. È stato determinante».

    L’uomo che trasformò un ragazzo in bomber
    Come cambiarsi la vita. A ventidue anni. E a Foggia, dopo un inizio di carriera vissuto mai troppo lontano da casa.
    «Già. Fino a quel momento non mi ero mai sentito esattamente un cannoniere. Giocavo anche col numero dieci sulla schiena. A Foggia si fece male Meluso, il centravanti titolare. Ernia al disco, proprio come me un anno fa. Certo che la vita è strana. Insomma, a un certo punto mi ritrovai là davanti, e cominciai a inquadrare meglio la porta. Feci quattordici gol, alla seconda esperienza in Serie B dopo quella di Piacenza».

    Non fu un caso, però. Non per niente, Zeman aveva salutato il tuo arrivo con un “benvenuto, bomber!” che era una specie di previsione.
    «Sì, ma questo lo sappiamo adesso. In quel momento pensai che si fosse confuso. Avevo fatto cinque gol in B e otto in C. Potevo essere tutto meno che un bomber. Lui aveva visto oltre, evidentemente. Per la sua idea di calcio, avevo le caratteristiche per diventarlo. Ma io non lo sapevo».

    Così, Foggia resta un gran bel ricordo.
    «Il cambio di ritmo. Con un tecnico che mi fece conoscere la fatica vera. Perché già a quei tempi Zeman adottava metodi di lavoro abbastanza pesanti. E poi c’era il gruppo, unito e in sintonìa con l’allenatore. E la città intorno, che aveva bisogno di calcio e in quegli anni viveva aspettando la partita della domenica, con un entusiasmo coinvolgente».

    Oggi, quando ripensi a Zeman, ti viene in mente il tecnico del Foggia o quello della Lazio?
    «Tutti e due. Lui è rimasto uguale a sè stesso. E tante volte ha pagato per quello che ha fatto e detto. Perché lui è così, se vede rosso è rosso e basta, e non c’è nulla che possa fargli cambiare idea. Unico, anche in questo».

    Signori deve molto a Zeman, o è il tecnico che deve ringraziare il suo campione?
    «Direi che siamo in pari. Io ho avuto tanto da lui, ma l’ho ricambiato con buone prestazioni, coi gol. Penso che anche lui sia soddisfatto di me».

    Zeman è l’allenatore più importante, nella tua carriera?
    «Non è facile rispondere. Se dicessi di sì, farei un torto a tutti quelli che lo hanno seguito o preceduto. Di sicuro è stato fondamentale, mi ha lanciato. Ma potrei citare Maestroni, che mi ha fatto giocare per la prima volta in Interregionale e in C2, col Leffe. Anche lui ha avuto fiducia in me, anche a lui devo qualcosa».


    A spasso con il mito



    Dalla zeta di Zeman alla zeta di Zoff. Che era in panchina nell’anno dell’esplosione di Beppegol, ventisei reti alla prima stagione laziale e il primo trionfo nella classifica marcatori.
    «C’è sempre stato rispetto reciproco. Mai avuto un problema. Poi, lui ha cambiato il suo ruolo all’interno della società, da allenatore è diventato presidente. Mi ha insegnato molto, da tecnico. A fare gol, per esempio. Il suo modo di far giocare la squadra mi metteva nella condizione giusta per segnare».

    Pensare che anche lui passa per difensivista...
    «Beh, ma questo lo dicono anche di Mazzone, che spesso mette in campo un Bologna con tre attaccanti. Io so soltanto che con Zoff allenatore ho segnato quarantanove gol in due stagioni. Non mi sembrano pochi...».

    Dici Zoff e Signori pensa al tecnico o al presidente della Lazio? O magari al Ct della Nazionale?
    «Ecco, in questo momento al Ct azzurro. Per me, comunque, Zoff è stato davvero molto importante. Allenatore per due anni e mezzo, presidente per due anni. Come fai a dimenticare?».

    Dunque, se dovesse richiamare...
    «Correrei. Correrei come un matto, con l’entusiasmo di un ragazzino».

    Uno diverso da Zeman, comunque.
    «Che c’entra? Mica è facile, trovare due persone che si assomigliano, in questo ambiente. Diverso ma altrettanto importante. Quando sono diventato Beppegol, sulla panchina della Lazio c’era lui».


    Il buio oltre la siepe



    Genova per noi è un’idea come un’altra, direbbe Paolo Conte. Beppe Signori, invece, ha un’idea precisa, di Genova e dei suoi giorni. Buio, buio e basta. «Per colpa dell’operazione, ma non solo. C’era anche un problema di testa, che non funzionava. Un problema personale. Sono andato là con la mentalità sbagliata, e per questo mi assumo tutte le responsabilità dei miei errori. Altro che colpa dei tifosi, della città. Colpa mia, che non sono arrivato a Genova con lo spirito giusto. L’approccio mentale era sbagliato, il resto è venuto, o è crollato, di conseguenza».

    Schiena a pezzi, un dolore per ogni movimento, anche il più insignificante. Una brutta botta, anche dal punto di vista psicologico. A trent’anni, non è facile affrontare una vita piena di punti interrogativi.
    «Non lo è. Ho vissuto momenti di sconforto totale. O meglio, io ci provavo anche a reagire. Ma avevo bisogno di trovare qualcuno che ci credesse quanto me. Ho trovato il Bologna. Ho trovato il presidente Gazzoni, Cinquini, e Mazzone. Loro mi hanno voluto nonostante l’incognita di un’operazione dalla quale non si sapeva come sarei uscito. Se soltanto uno dei tre non avesse avvallato il mio trasferimento, non sarei qui a parlare di rinascita».

    Bella cosa, la fiducia.
    «Splendida cosa, per uno che aveva bisogno di nuovi stimoli. Devo dire grazie, di cuore, a queste persone».

    Mazzone l’hai ringraziato sul campo. Facendo per lui i gol che una volta segnavi contro la sua Roma.
    «Già. E finalmente, per la prima volta, un mio gol alla Roma ha fatto felice anche lui. Doveva capitare, prima o poi».

    Erano tanti anche quelli che non ci credevano, al ritorno di Signori.
    «Per questo dico che certi problemi ti fortificano. Dopo l’operazione all’ernia del disco, ho capito diverse cose sull’amicizia. Ho diviso gli amici di Beppe dalle persone interessate a Signori, il calciatore famoso. Troppo bello stare vicino a chi è vincente e poi abbandonarlo al primo momento di difficoltà. Mentre ero bloccato, mentre tentavo di ripartire, ho memorizzato i nomi di quelli che mi telefonavano comunque. Gli altri li ho cancellati».

    Gli amici, e i presunti. Un problema di questo mondo che corre intorno a un pallone?
    «No, no. Un problema di questa vita. Il calcio è solo un esempio. Certi momenti li ho vissuti anche da ragazzino. Quando la mia famiglia andava avanti soltanto con lo stipendio di mio padre, e a volte le difficoltà erano nell’aria, le intuivi dentro a uno sguardo. Anche allora le vere amicizie si sono cementate, e tanta gente si è persa per strada. Ecco perché dico che questa è la vita, non è solo una storia di calcio».




     
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    Doriano MB
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    buon giocatore signori, peccato che nessuno qui abbia un buon ricordo di lui...
    purtroppo è arrivato da noi forse nel peggiore momento della carriera...
     
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  4. paulosilas
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    Se non altro è stato onesto ad assumersi tutte le responsabilità.
    Peccato era un ottimo attaccante ma arrivò nel momento sbagliato, perlui e per la squadra.
     
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    CITAZIONE (paulosilas @ 19/2/2008, 17:01)
    Peccato era un ottimo attaccante ma arrivò nel momento sbagliato, perlui e per la squadra.

    Sbagliato per lui più che altro, la squadra tutto sommato c'era.

    Edited by Tore MB - 7/10/2022, 21:04
     
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  6. paulosilas
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    Beh oddio arrivò dopo che Mancini era andato via, l'anno di Menotti (magari poi si può aprire un topic anche su di lui) poi di Boskov. La squadra non era male ma non fu un anno facilissimo.
     
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    CITAZIONE (paulosilas @ 19/2/2008, 17:44)
    Beh oddio arrivò dopo che Mancini era andato via, l'anno di Menotti (magari poi si può aprire un topic anche su di lui) poi di Boskov. La squadra non era male ma non fu un anno facilissimo.

    Fino alla 20° giornata (http://doria.altervista.org/1998/samp-a98.htm) eravamo messi molto bene, poi una serie di infortuni, ma anche una profonda crisi offensiva, ci costrinse ad una serie impressionante di sconfitte (7 in 8 partite con appena 3 reti segnate). Sulla carta un attacco Montella-Signori sarebbe dovuto essere uno dei più forti in assoluto. Boskov alla fine preferì addirittura Veron invece di Signori a supporto di Vincenzo...

    Edited by Tore MB - 7/10/2022, 21:04
     
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  8. paulosilas
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    CITAZIONE (Tore* @ 19/2/2008, 18:08)
    Fino alla 20° giornata (http://doria.altervista.org/1998/samp-a98.htm) eravamo messi molto bene, poi una serie di infortuni, ma anche una profonda crisi offensiva, ci costrinse ad una serie impressionante di sconfitte (7 in 8 partite con appena 3 reti segnate). Sulla carta un attacco Montella-Signori sarebbe dovuto essere uno dei più forti in assoluto. Boskov alla fine preferì addirittura Veron invece di Signori a supporto di Vincenzo...

    E proprio per questo non fu possibile aspettare che Signori si riprendesse.
    Tra l'altro dall'intervista mi pare di capire che quell'anno i problemi non fossero solo fisici ma anche personali , peccato.

    Edited by Tore MB - 7/10/2022, 21:05
     
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  9. lindaballalinda
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    a parte che non mi è ma stato simpatico come uomo (forse anche per colpa di quella suora che andava a tifare lazio da fazio....uh ho fatto anche rima hahaahh) poi per me è legato allo scambio mancini/signori che è stato un duro colpo da digerire.............
     
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    Doriano MB
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    Personalmente quando si seppe del suo arrivo, ero stra-felice.
    Poi non è stato quel che avrei sperato, ma le potenzialità le aveva ancora, e lo ha dimostrato negli anni di Bologna.
     
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  11. Ale in the Stretch
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    Beppe Signori: "Lazio-Sampdoria, quanti bei ricordi..."


    14.09.2008 08.44

    Fonte: di Roberto Gentili per la Provincia

    Domenica prossima la Lazio incontra la Sampdoria. Soprattutto negli anni novanta molti calciatori hanno indossato entrambe le maglie. Basti ricordare i vari Lombardo, Buso, Mancini, Mihajlovic, Jugovic, Marcolin, Grandoni, Veron e Signori. Quest'ultimo andò via dalla Lazio a dicembre del 1997, agli albori dell'epopea cragnottiana, trasferendosi proprio a Genova, ma rimane a tutt'oggi uno dei giocatori più amati di sempre della storia della Lazio. Con lui un po' di amarcord e non solo…



    Lei è rimasto nei cuori dei tifosi biancocelesti, lasciando ottimi ricordi. Ci racconti qualche episodio significativo della sua carriera romana.

    Quando fui incoronato ottavo re di Roma fu senz'altro uno dei momenti più belli e sentiti, perché non capita tutti i giorni di stare sotto la Curva Nord con la corona in testa. Come è indimenticabile anche quando la gente scese in piazza per impedire la mia cessione, dimostrando la stima che nutriva nei miei confronti. Mi fece molto piacere perché nella storia del calcio non si ricorda che i tifosi non abbiano permesso la cessione di un calciatore. Io penso di averli ripagati sul campo con le mie prestazioni e con i miei gol.

    Questi episodi e la sua brillante carriera le hanno fatto prendere coscienza che è stato uno degli attaccanti più forti della storia laziale e forse del calcio italiano?

    Ora che ho smesso me ne rendo più conto, perché la gente si ricorda ancora dei miei tanti gol. Questo mi fa pensare che forse ho fatto qualcosa d'importante. Quello che più conta, però, è che mi sono divertito e che ho fatto divertire.

    Domenica la Lazio affronta la Sampdoria, altra sua ex squadra. Il suo passaggio in blucerchiato fu il momento più doloroso della sua carriera…

    Lasciare la Lazio fu un trauma, ma non c'erano i presupposti per rimanere, visto che il tecnico non mi considerava più, non solo come calciatore ma anche come uomo. Ho preferito andar via che creare problemi al resto del gruppo. Per questo, quella alla Samp, fu una stagione difficile sia a livello mentale che fisico e non potei dimostrare il mio valore. Giocai meno di quattro mesi lì, perché ad aprile mi operai.

    Hai dei rimpianti per non aver giocato molto in Europa e per aver raccolto meno di quello che meritavi in nazionale?

    Purtroppo una volta le regole erano diverse e quindi, pur essendo arrivati secondi o terzi, non potemmo disputare la Champions. L'unico rimpianto è non aver giocato la finale dei mondiali: un peccato d'inesperienza mi ha fatto compiere una scelta sbagliata e non mi ha permesso di giocarmela.

    In questi giorni Zarate è stato spesso paragonato a lei: può esprimere un giudizio su questo ragazzo?

    E' difficile valutarlo, ma lo ritengo un giocatore completo, che ha delle caratteristiche simili alle mie. In comune abbiamo l'aver esordito con la maglia biancoceleste con una doppietta. Ci sono tutti i presupposti perché faccia molto bene a Roma, ma sarà il tempo a confermare o meno le buone cose che ha fatto vedere a Cagliari.

    Lotito l'ha mai cercata e, ad ogni modo, tornerebbe alla Lazio?

    Lotito non mi ha mai cercato e non penso lo farà. Se lo dovesse fare è per un progetto ambizioso, anche perché le cose si devono programmare e non improvvisare..

    da http://www.tuttomercatoweb.com/?action=read&id=121929
     
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  14. IRR_LAZIO
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    Peccato che il suo anno alla Samp non fu memorabile sotto il profilo realizzativo. Esordì a Marassi contro l'Inter nell'1-1 in cui lasciò il segno... visto che fu lui a procurarsi il calcio di rigore che Montella realizzò. Ricordo anche che in quella partita aveva la barba :). Quando finalmente decise di radersi ritrovò anche il goal nel rocambolesco 5-2 di Genova contro il Parma dove firmò una doppietta (un goal su punizione). Sembrò effettivamente essersi sbloccato, poichè andò in rete anche la domenica successiva a Lecce nel 1-3 vittorioso. Poi nuovamente prestazioni non del suo calibro. Nonostante questo... di Signori non si può che parlare bene. Grandissimo bomber forse troppo braccato dagli infortuni nella seconda parte della sua carriera
     
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35 replies since 9/7/2005, 18:18   2947 views
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